Italy:Il mio viaggio verso la Dimora di Pace Suprema

È passato tanto tempo dal mio viaggio a Prashanti, ma è tutto ancora vivo e presente in me come se fosse successo ieri.

Sono partita il 26 giugno del 1999, il giorno del compleanno di mio figlio, Mattia, che aveva lasciato il corpo circa un anno prima all’età di otto anni.

Sai Baba era entrato nella mia vita a dicembre del 98 ed è stato per me la Fonte di vita e quasi di sopravvivenza, ma soprattutto la possibilità di trovare il senso e il significato ad un avvenimento così doloroso come la morte di un figlio. In questo modo, nel seguire Swami e il suo insegnamento ho dato nuovo senso, nuova direzione alla mia vita.

Sentivo forte l’intenzione di andare in India, rimaneva però una perplessità: non conoscevo una sola parola di inglese. Mi ricordo di averGli proprio chiesto aiuto per superare questo ostacolo e con un tempismo eccezionale alcuni giorni dopo mi telefonò un’amica, dicendomi che sua sorella aveva deciso di andare in India, voleva andarci con me e guarda caso conosceva benissimo l’inglese. Quando il Signore vuole non ci sono ostacoli.

Dentro di me ricordo un gran marasma, da una parte un’altalena di emozioni che andavano dalla gioia frenetica alla paura più profonda, probabilmente si trattava di ansia che si manifestava negli opposti; dall’altra una spinta interiore forte e consapevole che  mi trasmetteva un senso di pacata certezza.

All’arrivo nell’ashram era troppo stanca e frastornata per capire realmente quello che succedeva dentro e intorno a me, ricordo però un vago senso di paura che avevo identificato come timore del non conosciuto. Allora pensavo di essere “arrivata” e in un certo senso era vero, perché quel momento corrisponde ad una rinascita, ma è anche l’inizio di un viaggio verso i regni più profondi dell’anima e della mente e in genere ci conosciamo molto poco e abbiamo paura di questo processo che svela i retroscena della nostra vita.

Infatti sono cominciati subito i lavori, al primo incontro con Lui, nel darshan del pomeriggio. Non riuscivo a guardarLo, avevo paura e quando riuscivo ad alzare la sguardo mi sembrava di non riconoscerLo, provavo un profondo senso d’angoscia e mi sentivo in conflitto tra la volontà e le emozioni ed ero in confusione.

Durante la notte mi ero svegliata dopo un sogno doloroso che non ricordo e sentivo un‘angoscia lacerante salire dal profondo. Allora avevo iniziato a pregare e a chiedere aiuto; la voce interiore mi aveva guidata a guardare dentro di me e  mi ero letteralmente affacciata con la consapevolezza sul bordo di un pozzo profondo. Sentii arrivare un bisogno d’amore così totale e disarmante che mi lasciò senza fiato e successe proprio questo, rimasi senz’aria. Mi spiego meglio. Quando mi resi conto di questo bisogno mi rivolsi a Dio e la voce interiore mi invitò a chiedere. Lasciai salire verso la voce quella richiesta d’amore che probabilmente aveva la mia stessa età, era proprio la voce della bambina appena nata o addirittura ancora prima. La richiesta si bloccò in gola con un spasmo della laringe che mi tolse completamente l’aria, grazie a Dio durò pochi secondi altrimenti  sarei rimasta soffocata. La mia richiesta d’amore, di essere accolta era un grido strozzato! Ecco l’origine dell’asma e di tutti i problemi legati alla respirazione. A distanza di parecchio tempo e dopo anni di analisi, di yoga e quant’altro vedo con chiarezza e riconosco le emozioni e i sentimenti del passato. Vorrei proprio soffermarmi sul significato del riconoscimento! E’ stato proprio il non riconoscere Sai Baba il primo sentimento che ho provato vedendolo. Swami ha sempre detto che è il nostro specchio e ciò che proviamo verso di Lui in realtà è la proiezione dei sentimenti verso noi stessi. Il primo riconoscimento che l’essere umano ha bisogno è proprio quello di essere accolto come persona e di avere il diritto di esistere. Per quanto mi riguarda invece il messaggio che mi arrivava da mia madre era il rifiuto, già da subito, ancora prima della nascita. E questo non era solo un messaggio non verbale, più o meno nascosto, era esplicito e si accompagnava al senso di colpa quando mia madre mi raccontava il momento del parto e mi diceva chiaramente che si era quasi uccisa per mettermi al mondo. Ecco come i condizionamenti familiari operavano dentro di me: quello che avevo assorbito dalla nascita era diventato ormai il sentimento che io avevo verso me stessa: non valgo, non sono degna di essere amata, quindi è inutile che manifesti i miei bisogni e le mie richieste, perché non possono essere ascoltate, non lo merito. Potremmo considerarlo quasi il mio “peccato originale” la paura di non meritarsi e così mi sono separata da parti di me, vivendo per compiacere ma non per amare, perché non puoi amare nessuno se prima non ami te stessa. Il giorno dopo a questo vissuto era stato molto difficile, stavo molto male, non capivo bene quello che mi era successo, avevo paura e appena mi ritrovavo da sola piangevo a dirotto; a completare l’opera mi venne anche un attacco di emicrania.

Ma ero in buone mani! La vicinanza fisica ma soprattutto interiore del Maestro era un balsamo e una medicina miracolosa per il miei affanni. Alla sera mi addormentai confusa e sentendomi proprio come una bambina che incomincia a camminare e ha bisogno di incoraggiamento, chiesi conforto a Baba. Il mattino dopo, sul pensiero del giorno c’era la sua risposta, ero estasiata e felice, finalmente mi sentivo amata e ascoltata! Ecco le parole del messaggio:”Quando un bambino sta imparando a camminare l’Amore non gli porrà ostacoli sul suo cammino, d’altro canto lo incoraggerà dando il benvenuto ad ogni passo avanti e controllando ogni caduta.” Capisco ora che Lui stava ricostruendo nel mio cuore la fiducia, era per me la mamma amorevole che non avevo avuto. Dopo questo “battesimo di fuoco” stavo molto meglio e mi lasciavo amare, lasciavo che la sua luce mi raggiungesse e succedeva puntualmente in ogni darshan. La luce è rilassante, curativa, purificatrice e rigenerante, come la meditazione che Baba insegna e che è un vero bagno di luce. Dopo qualche giorno ero pronta per ricevere il dono di una giornata speciale, che incominciò con queste parole, pronunciate con mio grande stupore dalla voce interiore al risveglio: ”Oggi festeggiamo il compleanno!” Almeno queste sono le parole che hanno superato la censura della mente e che sono rimaste nella coscienza. Nella frase c’era anche un riferimento al passato e una parola in sanscrito di cui non conoscevo il significato e che ho dimenticato. Al darshan quella mattina ero emozionatissima, avrei dato tutto per avvicinarmi il più possibile e capitammo in una posizione abbastanza favorevole. Ad un certo punto chiusi gli occhi e mi sentì attraversare da una luce radiante meravigliosa e da un grande calore che si diffuse dappertutto, provai una gioia indescrivibile.

Durante il pranzo incontrammo una ragazza, che ci raccontò dell’esistenza nel paese di una scuola di volontari, organizzata da una italiana di nome Silvia. Con la sua guida andammo a visitarla nel pomeriggio e mi resi conto che l’amore e la fede compiono davvero miracoli. Era un ambiente sereno, pieno di pace, semplice e accogliente in  contrasto con l’atmosfera del paese dove c’era tanta miseria ma anche tanto opportunismo. I bambini venivano mandati a chiedere l’elemosina da adulti senza scrupoli, che approfittavano dell’ingenuità  e della generosità dei devoti. Anche noi ci siamo cascate e ci siamo ritrovate a seguire un bambino che voleva del latte per il fratellino. Abbiamo comprato latte il polvere ad un prezzo per noi irrisorio, ma per il mercato locale esorbitante. Dopo ci hanno spiegato che erano truffe dei negozianti che si arricchivano dando pochi spiccioli a questi bambini bisognosi. Silvia, invece, mossa a compassione dalle condizioni di vita di queste creature, rispose nella maniera più giusta ai loro bisogni, fondando una scuola per educarli alla dignità e all’amore.

Ero profondamente ammirata da quello che vedevo, anche dal punto di vista professionale e capii che avevo ancora tanto da imparare dal mio lavoro, per svolgerlo veramente bene. Quando entrai nella classe seconda, c’era la lezione di inglese e proprio in quel momento alla lavagna, a lettere cubitali, c’era scritto MATTIAS. Sentii i brividi correre per tutto il corpo fino alle caviglie, provai un’emozione viscerale, profonda, come se lui fosse lì, in quel momento. Sentii anche fastidio, paura, in qualche modo la sua presenza, che in quel momento c’era, ne sono sicura, rinnovava il dolore che avevo congelato dentro di me, perché era troppo forte e mi avrebbe sopraffatta.

Ora a distanza di anni posso capire le emozioni che mi agitavano dentro, ma mi chiedo cosa voleva veramente dire Baba con la frase del compleanno? I suoi insegnamenti hanno sempre lo scopo di elevare spiritualmente i devoti e dunque? Forse potrebbe proprio essere il mio compleanno il giorno che riesco veramente a superare l’attaccamento, cioè a non considerare mio niente e nessuno, a vivere con gratitudine la vita come un dono. Forse mi invitava a vedere in ogni bambino che incontravo l’immagine di figlio, un senso di maternità universale che non prende nulla per sé, ma dona soltanto in modo incondizionato, proprio come quella sorgente di luce  che avevo vissuto in un sogno. Forse voleva dirmi di non preoccuparmi, che quello che era successo faceva parte del piano d’amore di Dio, anche se non possiamo capire il perché, in Lui ogni cosa ha un senso. Probabilmente sì, voleva dire questo e magari altro ancora, insegnamenti che mi sono sfuggiti, proprio come quelle parole che sono volate via al risveglio. 

Aprendo il diario di viaggio mi sono accorta di aver tralasciato una parte del messaggio di Baba. Dopo avermi rassicurato che Lui è presente per controllare ogni caduta, continuava così:”Un amore fermo che non cambia, non diminuisce, può essere l’amore verso il Signore di tutti i mondi. Un amore mutevole è l’amore verso il mondo che cambia.” Forse sta proprio qui il senso del dono di Mattia: imparare la Vita attraverso la morte, imparare che l’Amore significa senza morte, conoscere che noi siamo Quello, veniamo da quello “Spazio” dove non si è mai nati né mai si morirà. E si può veramente conoscere soltanto attraverso l’esperienza: Dio può essere solo vissuto.

Che cosa significa vivere Dio? Come rendere concreta questa intuizione? Sono le domande che mi pongo ogni giorno. Forse la risposta più vera,almeno per me, viene ancora una volta dalle coincidenze e dalle esperienze vissute durante il soggiorno da Baba.

La mattina dopo, finito il darshan, sentii fortissimo il bisogno di ritornare in camera, quasi come se una forza “totalizzante”(non riesco a trovare un aggettivo migliore per farmi capire) mi spingesse verso quella direzione. La mia amica non venne così mi avviai da sola. Guidata dalla voce interiore mi sdraiai sul letto, un po’ spaventata da quello che stava succedendo, ma venivo sollecitata a mantenere la mente quieta e a non pensare. Ad un certo punto avvertii chiaramente la presenza di Sai Baba nella stanza, mi si rizzarono i peli dall’emozione, ma ero come paralizzata, potevo solo aspettare e sentire attraverso la percezione interiore. Si avvicinò e mi resi conto che stava lavorando su di me, operando a livello energetico, prima sul cuore, poi sulla sommità del capo, dove sentii chiaramente il suono di una bottiglia che veniva stappata e infine sulla zona sacrale, che rimase tale e quale, probabilmente bloccata. Il lavoro sul chakra della radice mi porterà ad un lungo percorso di analisi, cercando le cause della paura di vivere, accompagnata in questo viaggio da alcune guide, dottori dell’anima, che sanno come attraversare le lande desolate e profonde dell’inconscio.

I giorni successivi mi sentivo come se fossi guidata dall’alto, come se ci fosse un filo che mi collegava ad una Forza maestosa e finii per caso in una scuola, una delle famose scuole fondate da Baba.

Si respirava amore, arrivava un senso di pace ma anche disciplina e silenzio, si sentiva il rispetto e la consapevolezza dell’onore di essere lì da parte di insegnanti e alunni. Respirai quell’energia completamente e ora mi rendo conto di aver fatto del mio meglio per trasferirla nel mio lavoro di maestra. Insegnare è stato un dono immenso, davvero un onore trasmettere la conoscenza con amore e consapevolezza perchè ogni bambino è un’incarnazione di Dio ed educare vuol dire proprio “tirare fuori” aiutarli a manifestare la loro anima. Viverlo così è come vivere Dio, un’esperienza di Amore, con amore, nell’amore per amore.

Durante il soggiorno nell’ashram comprai un libro sull’educazione ai valori umani, che conteneva la storia del flauto di Krisna, il racconto della piccola canna, tagliata dagli uomini e sbattuta per terra, che venne raccolta da  Krisna che, dopo averla svuotata dalla fibra e ripulita dal fango, ne fece il suo flauto con cui suonava dolcissime melodie.

Leggendo questa storia cominciai a piangere in un pianto liberatorio di sollievo, che conteneva gioia, amore, dolore, paura, tante emozioni mescolate insieme, perché dal profondo stavano risalendo alla coscienza sia l’Io reale che tutti i sentimenti compressi.

Naturalmente dentro di me c’era una bella lotta tra la voce interiore, che mi spingeva verso questo racconto e verso l’identificazione con il flauto e il pregiudizio molto radicato che mi faceva pensare: “non sono adeguata, non sono capace, non sono in grado di fare niente di importante ecc.”

Questa è la sfida della mia vita e a volte per superare la paura ho fatto e faccio cose che magari altri non farebbero, osando forse di più proprio per vincermi, paradossalmente la paura diventa così il seme per la nascita del coraggio! A volte invece la paura mi paralizza e non riesco ad agire e a fare le scelte necessarie.

La strada per me è la costruzione di un’autostima reale, che comprenda anche l’accettazione serena dei propri limiti e quindi del proprio passato. Credo che a questo si arrivi attraverso il perdono, il vero sentimento di liberazione che nasce dalla consapevolezza che ogni esperienza racchiude il seme della luce e che il Signore ci dona solo esperienze di crescita ed opportunità di evoluzione. Noi siamo sempre liberi di scegliere, possiamo continuare a rimuginare il rancore tutta la vita oppure aprirci ad una dimensione che tutto comprende e accoglie.

Vorrei ora raccontare un piccolo gioco di Swami che nascondeva naturalmente un profondo significato. I primi giorni la voce interiore cercava di convincermi a comprare un sari ed io resistevo fino a quando una persona mi confermò che Baba ci teneva che le donne lo indossassero. Così mi feci confezionare un bell’abito rosa semplice e lineare, combattendo con la voce interiore che mi aveva condotto da una sarta che vendeva tessuti di seta magnifici, tra i quali uno rosa con l’immagine di Baba che suonava il flauto. E ancora una volta prevalse la paura di non essere degna di un simile dono e ne scelsi un altro.

La mattina in cui indossai per la prima volta il sari, mi sembrava di essere una principessa e la voce interiore assecondava e stimolava questo gioco. Mentre ci recavamo al tempio per il darshan, successe un fatto davvero curioso: un piccolo rospo iniziò a seguirci, saltellava dietro di noi e se mi giravo a guardarlo lui si fermava e ci guardava. Ci ha accompagnato fino al tempio e poi non lo abbiamo più visto. Dato che mi sentivo una principessa il rospo ci stava proprio bene!

Il significato mi appare evidente: per unirsi al proprio Principe bisogna baciare il rospo, la propria integrità richiede il coraggio di andare fino in fondo a se stessi, incontrando i propri demoni e tutte le parti misconosciute e non accettate.

Infatti il pensiero del giorno riportò proprio questo consiglio. “ Chiedo sempre una profonda analisi per rafforzare i fondamenti della fede; l’indagine rinforzerà semplicemente la primavera dell’amore……..L’amore di Dio crea nell’uomo l’amore per tutti gli esempi della sua maestà, la sua magnificenza, la sua varietà…. Persino il sudiciume sono amati, perché Dio permette a loro di esserci.”

Intanto erano sempre più frequenti i momenti in cui incontravo il Suo sguardo e credo che questo sia stata una vera guarigione. Mi ricordo due momenti in particolare: nel primo ho sentito che attraverso lo sguardo stava lavorando su di me e il plesso solare si  è come rivitalizzato e ho avvertito uno strappo come se avesse ripreso a muoversi; la seconda volta è stato come se il Suo sguardo fosse entrato dentro di me fino in fondo all’anima, un’esperienza meravigliosa, mi sono sentita completamente vuota e poi totalmente piena di una gioia infinita.

Si stava avvicinando il momento del viaggio di ritorno e il distacco si stava rivelando davvero difficile, avevo ritrovato la Vita e ora dovevo allontanarmi! Non mi rendevo completamente conto che la distanza non esiste e che Lui vive in noi ed è sempre Presente. Lo sapevo in teoria ma non era ancora esperienza. Il pensiero del giorno, come dire i compiti a casa, recitava così.” Vivi perché sei nato ancora una volta. Non innamorarti del mondo così tanto che il suo falso fascino ti porti di nuovo e di nuovo in questa amalgama deludente di gioia e dolore. A meno che tu non stia un pochino indietro, lontano dall’attaccamento al mondo, sapendo che tutto è un gioco il cui regista è Dio. Sei in pericolo di essere coinvolto troppo a vicino. Usa il mondo come un terreno di prova per il sacrificio, il servizio, l’espansione del cuore, la pulizia dalle emozioni. Questo è l’unico valore che ha.” E così partimmo rinnovate nell’anima e nel corpo, ma anche meste e dispiaciute.

Il dono più bello doveva ancora arrivare! Mentre eravamo sull’aereo, con tutti i finestrini coperti perché trasmettevano un film, noi improvvisamente avevamo alzato la tendina e davanti ai nostri occhi increduli apparvero due arcobaleni che si unirono formandone uno unico, perfettamente rotondo con il sole al centro che conteneva l’immagine sfumata del viso di Sai Baba. Quale infinita benedizione! La sua promessa di Pace, il suo sigillo di amore! Il nostro aereo atterrò con un’ora di anticipo perché aveva il vento favorevole!

Grazia Sereno

#SSSGC ITALIA